Categoria: racconti

  • Ouija board

    I tre amici sono alle prese con una delle prime vacanze in solitaria, senza genitori al seguito.
    Niente di esagerato, giusto un centinaio di km separano la tenda dal controllo, ma la libertà che respirano è forte, indubbiamente. Le regole si riducono ai minimi termini, mangiare, dormire, bere, tutto con proporzioni differenti dal solito. Fanno quello che vogliono, senza pensieri; vanno dove vogliono, le bici sono tante, basta solo allungare una mano.

    Ed è in questo modo che si allontanano dal campeggio, quella sera, molto probabilmente con una scorta di birre al seguito, per evitare di non trovarne in giro. Le pedalate sono leggere, come il loro stato d’animo, senza pensieri, come può esserlo un adolescente in vacanza da solo. La strada è lunga e scarsamente illuminata, ma c’è gente in giro, gente che si muove con lo stesso passo leggero. Le colonie passano lentamente, una dopo l’altra, e pian piano le luci aumentano, appaiono le case, si comincia a sentire il brusìo dei turisti. La meta è vicina, ancora una decina di minuti, e poi sono arrivati.

    L’ora comincia ad essere tarda, e in giro c’è meno confusione rispetto a prima. Camminano con le bici alla mano, nella stretta striscia di cemento che separa gli scogli dalla massa scura delle acque del canale, poi trovano qualche scoglio meno scomodo degli altri e si siedono, attingendo dalle scorte.

    Non è chiaro come venga fuori il discorso, e forse non ha nemmeno importanza, ma da una tasca appare nuovamente quel foglio piegato e ripiegato, scritto a mano, con le lettere dell’alfabeto circondate da un cerchietto.

    “Rifacciamo la seduta?”

    La tavoletta Oujia improvvisata viene stesa alla meno peggio sul cemento, una 200 lire viene nominata cursore e poggiata sul foglio. Non c’è fretta. Le chiacchiere proseguono ancora per un pò, assottigliando le scorte, poi si comincia. La gente, ormai, è defluita, il molo è praticamente deserto, a meno di una coppietta poco più indietro, che bada con interesse ai fatti propri. Tre dita uguali di tre mani diverse vengono appoggiate leggermente sulla monetina/cursore, gli occhi si chiudono, i respiri calano di frequenza ed intensità, l’idea sembra quella di trovare una parvenza di solennità e concentrazione. Ma il sospetto di venire presi in giro dagli altri è molto forte, e i tre si tengono sotto controllo, cercando di non dare nell’occhio, attendendo un cenno che faccia capire che c’è qualcuno che lo fa apposta, a muovere la moneta.

    E formulando questi pensieri, si accorgono, con la lentezza derivante dall’alcool e dalla stanchezza, con stupore e forse qualcosina di più, che la moneta si sposta piano, quasi impercettibilmente, ma che lo fa davvero. Un percorso lento, quello della moneta, seguito da tre paia di occhi sgranati; un percorso che al suo termine sentenzia la parola Onda.

    Poi tutto finisce. Rimane il dubbio, che sfocia in una aggressività benevola verso i reciprochi altri due, aggressività figlia della certezza di esser stato preso in giro. La serata è finita; un ritorno meno leggero dell’andata aspetta il trio, una strada che prima era scarsamente illuminata ora è buia, senza anima viva, affiancata da edifici massicci e tetri. La questione della moneta viene dibattuta per qualche giorno, poi cade nel dimenticatoio adolescenziale.

    Sembra cadere.

    In realtà rimane lì, appena sotto la superficie, a volte intuibile, altre meno, altre no.
    Ma c’è. E può succedere che in una fredda serata d’inverno di una ventina d’anni dopo i tre si riuniscano per un incontro, per rinsaldare una amicizia un pò sfibrata dal tempo e dagli avvenimenti, e che in uno di quei momenti di quiete tra un discorso e l’altro, la fatidica domanda riemerga in superficie.

    “Ok, ma chi cazzo la muoveva, la moneta?”

    Così, senza bisogno di spiegazioni aggiuntive, perchè tutti sanno di che cosa si parla.
    I tre uomini fanno spallucce, incapaci di dare una risposta, e proseguono il giro in macchina.

    [un abbraccio forte a Piero e Daniele]

  • Panico

    Mi sveglio di soprassalto, apparentemente senza un motivo evidente, come ogni tanto accade. Rimango un attimo in attesa di capire se è successo qualcosa, un rumore, un odore, ma niente, mi sono svegliato e basta. Cerco allora di capire che ore sono, giusto per sapere quantificare il tempo residuo per il riposo; mi giro verso la sveglia, ma non la trovo, non vedo le solite cifre luminose. Ruoto su me stesso, pensando di trovarmi girato dalla parte sbagliata, ma niente, non vedo la sveglia.
    Un brivido.
    Mi siedo sul letto, comincio a sentirmi più lucido, voglio capire perchè non c’è più la sveglia. Ma il buio è pesto, gli occhi non ancora adattati, mi dico, non vedo nulla. Cerco l’interruttore della luce che ho sul comodino, poi ci penso, magari lei si sveglia e mi infama, ma cazzo, devo capire.
    Lo trovo. Commuto l’interruttore. Buio. Off. On. Off. On. Buio.
    Altro brivido.
    Passo all’interruttore del lampadario. On. Buio. Off. On. Off. On. Buio.
    No, c’è qualcosa che non va.
    E il sospetto, subdolo, si insinua. Una cosa sciocca, impossibile, ma si insinua. Sono cieco. I brividi si trasformano in un sudore freddo, non sono ancora sveglio del tutto, e mi lascio travolgere dai pensieri. Mi alzo in in piedi, sul pavimento freddo, alla ricerca di una luce, per fugare lo stato d’ansia che comincia a montarmi dentro, mi muovo a tentoni.
    Il bagno. Interruttori. Buio.
    La camera della bimba, ci sono un sacco di lampadine, anche la luce notturna attaccata alla presa. Tutto buio. Percepisco il suo russare leggero. Ma, cazzo, qualcosa non va di certo. Il corridoio. Mi affaccio a dove ci dovrebbe essere la sala. Nessuna luce. Microonde, standby della TV, stereo, niente. Sono quasi in panico, sudo freddo, ho paura. Muovo un passo nella sala, e accade il miracolo. Un rossore, in alto. Per un momento non capisco cosa può essere, poi mi rendo conto: il sensore infrarossi dell’impianto di allarme. Un poco di sollievo, ma ancora i dubbi sul perchè il resto della casa è al buio. Poi, finalmente, mi sveglio del tutto, ragiono, e mi do del coglione. Qualche passo indietro nel corridoio, ancora a tastoni, cerco il quadro elettrico dietro alla porta. Lo conosco a memoria, quindi so dove mettere la mano, sollevando l’interruttore generale, che chissà per quale motivo si era spento.
    Torno a letto, sollevato, e chissenefrega di che ore sono.

  • Insonnia

    E’ tardi, è ormai notte inoltrata, ma quell’accenno di sonno è sparito, e non sembra voler tornare. Una ultima sigaretta, mi dico, ma a metà mi accorgo che non mi va più e la spengo. Rimango fuori un altro pò, guardo nascere una piccola nevicata, anche se poi non è proprio neve quella che cade, sembrano piuttosto briciole di ghiaccio, più dure della neve, me ne accorgo ascoltando il fruscìo che generano cadendo sulle foglie. Lei non c’è, è lontano, nell’altra sua vita. Guardo i frammenti ghiacciati rimbalzare sul lampioncino, ne ascolto il rumore. Poi si alza una folata strana, insistente, nervosa, che sembra convogliare le particelle gelate in un punto imprecisato del giardino. Piccoli vortici sembrano addensare il ghiaccio in uno spazio ben definito, che via via assume i contorni di una figura umana, sfocata, ma riconoscibile.
    “Cosa fai ancora in piedi a quest’ora, tesoro?”
    “Niente, non riesco a prendere sonno”
    “Su, che è tardi, e domani è venerdì!”

    Rientro in casa, mentre un sorriso mi spunta sulle labbra, mi spoglio, mi infilo sotto il piumino. E dormo.