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  • Sonno agitato

    Mi sveglio in piena notte, disturbato da un rumore. È ritmico, il rumore, mi desta dal sonno lentamente, immagino sia Francesca che mi chiama per andare in bagno. Scendo dal letto e il freddo del pavimento contro la pianta dei piedi mi sveglia del tutto. Però Francesca non è sveglia, è a letto e dorme; ormai alzato, mi avvicino al suo letto per controllare che non si sia scoperta. È tutto a posto, anche se ha il sonno un po’ agitato: ruota la testa da una parte all’altra e verso il fondo del letto si vede il movimento dei piedi sotto le coperte. Mi giro per tornare a letto, ma sento che c’è qualcosa che non va. Mi guardo attorno, ma il resto della casa è a posto, non c’è niente di anormale. Allora torno a Francesca, ma anche lì mi sembra tutto normale, la testa che si sposta sul cuscino e i movimenti sotto le coperte. Le coperte. LE COPERTE. Storco il naso, il problema è lì ma continuo a non capire. Poi all’improvviso tutto è chiaro, lampante, e il terrore mi blocca. Non mi tornano le proporzioni, la posizione del movimento in basso, rispetto alla testa. Francesca non è così alta, non è possibile che arrivi fin quasi ai piedi del letto. Che cavolo c’è sotto le coperte? Riprendo il controllo e le tolgo. Dalle lenzuola emerge una specie di scarafaggio enorme, lucido, che rapido si lancia giù dal letto in cerca di un altro rifugio. Senza pensarci troppo calo il piede nudo sull’animale, schiacciandolo in una poltiglia schifosa. Rimango fermo in piedi ancora un po’, con il cuore che batte all’impazzata, poi un conato di vomito mi scuote e corro in bagno. Ritorno con in mano straccio e secchio, e ripulisco tutto, gettando i resti in una busta di plastica. Francesca, nel frattempo, ha continuato a dormire, un poco più tranquilla.

  • Nebbia

    Sarà il clima, ma ne parlano in molti, chi bene, chi male, chi la cita e basta.
    Io nella nebbia godo, sarà che è una cosa che mi porto dentro fin da piccolo, sarà.
    “And the fog comes up from the sewers / And glows in the dark”.
    Ciao nebbia, mi piaci.

  • Foto con il tappo davanti

    In strada passa un carro funebre. La signora anziana, qualche metro davanti a me, prima alza il braccio per segnarsi, poi, accortasi che il carro è vuoto, riabbassa il braccio e con la mano fa l’inequivocabile gesto delle corna.

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  • Sliding down

    Sono pronta.
    Mi stacco dal capello e comincio a scendere.
    Scivolo piano sulla pelle e man mano mi ingrandisco.
    Punto verso l’occhio seguendo il movimento ritmico.
    La testa si muove deviandomi verso la guancia.
    Continuo la discesa tra peli di barba fino al mento.
    Un attimo di stallo, poi il movimento ritmico si fa più forte.
    Mi stacco, cado e ho paura.
    Atterro, ed è di nuovo pelle.
    Sono ai lati di una bocca, senza peli questa.
    Un mondo diverso ma che si muove allo stesso ritmo.
    La bocca si allarga e ne esce una lingua carnosa che mi lecca via.
    Non ho paura.

  • [Note] Cimiteri – Storie di rimpianti e di follie, G. Marcenaro, p. 48

    Il 10.8 del calendario gregoriano corrisponde al 10 agosto. Quel giorno si celebra il martirio di san Lorenzo. Nella notte piovono le Perseidi, le lacrime del cielo.
    I napoletani indigenti, morti il 10 agosto di ogni anno dal 1762 al 1890, finirono sotto una lastra di pietra vulcanica contrassegnata con 10.8. La lastra si apriva su un vano di due metri per due, profondo dodici. All’altezza di dieci metri il pozzo aveva una grata, una specie di crivello, uno scolatoio di decomposizioni gocciolanti nel fiume sotterraneo che accoglieva sugo di cadavere. E questo per 366 tombe a pozzo, figurazione di un formidabile calendario funebre, in forma di crittografia astronomica, realizzato sulle pendici della collina di Poggioreale a Napoli. Con una previsione temporale perfetta – teneva conto anche degli anni bisestili.
    Il Cimitero delle 366 fosse l’ho potuto vedere soltanto in alcune fotografie pubblicate in un compassato libro di storia architettonica che trasforma il fenomenale delirio mortuario in un raziocinio tecnico. Per gli storici deve essere l’esempio più alto dell’Illuminismo applicato allo smaltimento di cadaveri. Nella sua compostezza, il cortile con le 366 botole è frutto di una visionarietà senza pari. Fu pensato, formidabile macchina funebre, come liquidatorio di salme per salvaguardare la salubrità dei vivi. Il suo rigoroso incalzare temporale, la fantasiosa applicazione del numero, della smorfia e della quaterna secca, esalta ancor più la città per la quale fu realizzato, capitale della superstizione e delle fatalità.

    Pianta del cimitero

  • Poi uno dice che s’emoziona

    Mettici: un teatro, di quelli veri, con palco e tutto il resto, l’autore tra il pubblico, e la 7enne che t’ascolta. Ciao cuore ciao.

    Bellezze
    [Schegge a Sogliano]

  • [Note] Cimiteri – Storie di rimpianti e di follie, G. Marcenaro, p. 33

    […] Novodevičij è l’enciclopedia russa da sfogliare. Mikhail Bulgakov sempre inseguito dai fantasmi del maestro e della sua Margherita. Anton Čechov sepolto accanto al papà, sotto un cippo che rassomiglia a una casetta, una microdacia sul modello di quelle in Crimea, illuminate da un sole malato. Nikolaij Gogol, certo di non essere riuscito a risvegliarne nemmeno una, attrae le anime morte che continuano a visitare la sua tomba. Konstantin Stanislavskij, il grande regista, pensa che il proprio corpo interpreti la parte della salma, convinto com’è che il metodo da lui inventato, con l’attore marionetta di se stesso, possa applicarsi anche ai defunti.
    A Novodevičij tutto sembra doverosamente e burocraticamente palese. A parte le ceneri di Elizaveta Petrovna, clandestina nella tomba di Vladimir Vladimirovič Majakovskij.

  • Mi racconto le storie

    O meglio, ogni tanto mi faccio dei viaggi mentali su cose che mi possono succedere. Ad esempio.
    Se le cose fossero andate per il verso giusto, stasera, più o meno a quest’ora, avrei dovuto avere in mano il telefono nuovo, ché il mio ha fatto una caduta del cazzo, ma si vede che se n’è avuto a male, e insomma è morto. Allora c’era in ballo questa gran bazza (e invece ciccia, e gli stronzi, ché sono una coppia, non rispondono nemmeno alle email, ma questa è un’altra storia), verso Russi, con un sacco di richieste, e la tizia lunedì «Mi capisca ma ci sono tante persone interessate, viene stasera a prenderlo?» e io «No guardi, stasera proprio non riesco, ché è il mio turno per tenere la bambina, potrei domani oppure mercoledì, mi dica lei». E niente, mi immaginavo di andare da loro a ritirare il telefono, «Piacere, Massimiliano» «Piacere, tizia, ci ha trovato facilmente, vero?» «Sì, tutto ok» «Guardi, questo è il telefono, è praticamente nuovo» e io lo guardo e lo provo, e lei «Allora ha una bambina, diceva?» «Sì, si chiama Francesca, guardi che carina che è» e tiro fuori dal portafoglio la foto «Però è vecchia la foto, ora ha sette anni» «Ma come, non ne ha una più recente?» «Sì, certo, le porto sempre con me, su Flickr» e prendo il telefono, accedo al mio account e le faccio vedere l’ultima foto che ho fatto alla Chicca. E’ bello poter accedere alle proprie cose, ai propri dati, in ogni momento, secondo me siamo fortunati. Poi certo, metti che non c’era campo facevo una figura di merda, però nella storia il segnale era ottimo.

  • Ora che Google Reader non ha più gli elementi condivisi dagli amici

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