Tag: racconti

  • Scritto su una panchina

    L’uomo si appresta ad affrontare l’ennesima curva, sperando sia finalmente l’ultima; è ansimante e accaldato nonostante il vento teso e fresco. La sua speranza diventa realtà, e oltre la curva si apre lo spiazzo che indica il culmine del giro. Lo immagina pieno di gente e di biciclette e sudore e lacrime, ché queste cose viaggiano spesso assieme. Poi trova una panchina e ci si mette a cavalcioni per riposarsi prima della discesa. E comincia a leggere le cose scritte e incise, perché sa che una panchina piazzata così fuori mano è il foglio bianco perfetto per lasciare pensieri che chissà chi li leggerà mai. E trova questo, scritto a pennarello:

    “Sono qui, da solo, in cima a questa salita, e ti penso. Dovresti vedere che bello che è, nessun altro a parte il vento, che fa correre le nuvole e muovere piano le cime degli alberi. Ti vorrei qua, e vorrei scoparti, piano, al ritmo delle fronde, con calma, senza fretta, finché il vento non si calma e rimane ad ascoltarci.”

    L’uomo solleva la testa, si accende una sigaretta, guarda la vallata sotto, con gli alberi che si muovono, e poi il cielo, con le nuvole che corrono. E pensa che sarebbe davvero bello.

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  • Prova di coraggio

    Il ragazzino è in piedi, in alto sulla roccia. Si sistema il costume, un paio di boxer leggermente oversize, lo tira su da dietro e rinnova il nodo in vita. Poi, le mani sui fianchi e lo sguardo verso il mare aperto, attende il momento propizio, l’attimo perfetto in cui vento, acqua, cuore e cervello sono in sincronia. Eccolo. Flette le gambe, sposta il baricentro in avanti e le braccia indietro per controllare lo spostamento. Poi però qualcosa va storto. La perfezione del momento è interrotta da un rumore proveniente dalla sua destra, e da dietro la roccia appare una piccola imbarcazione. Immediatamente bacino e braccia invertono il loro movimento, e dopo qualche oscillazione il ragazzino si ferma e si siede. Pausa, cinque minuti buoni, poi daccapo, stessi movimenti, stesso istante da ricercare. Eccolo. La flessione è più profonda questa volta, i piedi si staccano dalla roccia e il corpo percorre in pochi secondi i cinque o sei metri che lo separano dall’acqua. Splash, molti spruzzi, ma il ragazzino non bada di certo alla forma. Anche questa volta è andata, e ora c’è un pieno di adrenalina da smaltire.

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  • La vibrazione

    Lo spettacolo è già cominciato, e lui comincia a sentire la tensione crescere. Se lo aspettava, ma non così tanto, così tanto da non riuscire a tenere ferma la macchina fotografica. Gli occhi cominciano a inumidirsi e bruciare, i suoi e quelli di chi ha vicino, si vede benissimo. Il guardarsi attorno lo fa distrarre un attimo dal canto delle signore che sono sul palco, e si ritrova a guardare verso il fondo del cortile del circolo, prima verso il barettino, poi a sinistra verso l’entrata, poi di nuovo a destra, dove i posti che prima erano vuoti ora sono occupati. La cerca con lo sguardo, cerca il suo viso, o anche solo i suoi capelli, un qualche dettaglio che gli faccia capire che lei, nonostante tutto, è lì, è riuscita a venire giù. Ma nulla, lei non c’è. D’altra parte, probabilmente gli avrebbe detto qualcosa, nel caso. Probabilmente. E allora torna a girarsi verso il coro. A metà della rotazione della testa coglie una leggera vibrazione sulla coscia, prende fuori il telefono, guarda il display, e sorride. Sorride, perché si ricorda che lei, in fondo, è lì assieme lui. E allora, finalmente, si lascia andare alle emozioni che arrivano dal palco.

  • Il Regalo di compleanno

    Ti lascio con il mio regalo di compleanno. Ieri ho pensato che avrei avuto voglia di scriverlo a te.

    “Ieri ho fatto un giro in bici. Su per San Mamolo e ia di Roncrio fino a quando la salita di Monte Donato non mi toglie il fiato. La città era deserta, il cielo era azzurrissimo, le nuvole bianchissime, il sole mi baciava e io contraccambiavo con gioia nonostante fosse fine luglio. San Mamolo era silenziosissima e poco prima della baracchina dei gelati un pianoforte suonava e spandeva nell’aria una specie di magia. Ci sono passata attraverso e non ho potuto non girarmi a guardare da quale finestra uscisse la musica, chi suona, chissaperchè. Non è che uno tiene il piano sul balcone… Poco oltre la città lascia spazio ad un paesaggio completamente differente. La strada si stringe, la vegetazione diventa foltissima e piena di rumori di uccellini, cicale, acqua che scorre… e uno scoiattolo marrone, bellissimo piccolo e perfetto, è fermo su di un muretto con una foglia in bocca. Una meraviglia ferma lì sulle zampe posteriori, con le zampette si sta masticando una foglia e mi fissa. Sì mi fissa. Io ipnotizzata mi fermo lentamente, mi avvicino. Nella mia testa continuo a ripetere… non te ne andare… non te ne andare… Ma dal suo punto di vista non deve essere stato un incontro altrettanto eccezionale perché dopo qualche secondo mi ha sventolato il suo codone davanti ed è scomparso fra le fronde.”

    Baci,
    Fede

    Il Regalo di compleanno, bello e inaspettato. Grazie, Fede, un bacio a te.

  • E’ come svegliarsi in campeggio a settembre

    Stamattina piove. Mi sono svegliato con il rumore delle gocce nelle orecchie, l’odore di terra bagnata nel naso e quel fresco sulla pelle che verso le 6 ti fa cercare, ancora mezzo addormentato, il lenzuolo che si trova stropicciato ai piedi del letto. Ho subito associato queste sensazioni ad un bel viaggio settembrino in tenda di n-mila anni fa. Anche la successiva doccia, il godimento di quel primo getto bollente che scalda la pelle infreddolita, e la corsa all’accappatoio alla fine, per disperdere il meno possibile il calore residuo. Ora mi piacerebbe proseguire come quella volta, con una colazione sul tavolo in giardino e poi una visita alle bellezze croate; ma chiaramente non è possibile, allora cerco qualcosa di simile a quell’accappatoio, che non lasci disperdere queste belle sensazioni.

  • Cicatrici – Post pulp

    Cicatrici
    [Questo spettacolo di copertina l’ha fatta Tostoini]

    Le cicatrici rientrano in quel particolare tipo di sfighe che poi puoi raccontarle. Possono essere evidenti o nascoste, interne o esterne, comiche o drammatiche, ben chiuse o dolenti; il punto è che comunque ci sono, che bisogna conviverci. La mia l’ho scritta e l’ho inviata a lui, che l’ha presa e l’ha messa assieme alle altre e ne ha tirato fuori un ebook, prendibile aggratis da qui. Accattatevillo.

    PS: una riflessione postuma. Lo scriverne a proposito mi è servito per metabolizzarla. Mi sembra interessante.

  • Un piatto, crepato

    “Prima o poi, vedrai, si spacca”
    “Lo so”
    “E perché non lo butti?”
    “Perché ci sono affezionato”
    “Ma è un piatto!”
    “La sai la sua storia?”
    “No, sentiamo, dai”
    “Si è crepato la prima sera che sono venuto qui. Ho messo la tovaglietta sul tavolo, poi le posate e il bicchiere, e poi il piatto. L’ho appoggiato normalmente, come tutti i piatti della mia vita, e lui, crac, crepato.”
    “E quindi?”
    “Aspetta. Dicevo, l’ho appoggiato, ho sentito il rumore, poi l’ho guardato e ho visto che non era rotto, ma solo crepato. Allora gli ho detto “Fratello, siamo in due” ”
    “Ok. Ma ora perché non buttarlo?”
    “Onestamente, credo debba tenerlo ancora per un po’”

  • La ferita

    Si sveglia all’improvviso a causa di una fitta lancinante al piede, in corrispondenza del taglio che si è procurato qualche giorno prima in spiaggia. Scosta le lenzuola diventate, causa il caldo, un tutt’uno con il corpo, e guarda la ferita. Non ha un bell’aspetto, è gonfia e arrossata, ancora non rimarginata, più profonda di quanto gli era sembrata. Forse è il caso di darci una ripulita; prende un paio di cotton fioc e il disinfettante e si mette all’opera: prima l’esterno, e la pelle attorno, poi con delicatezza la apre per rimuovere gli eventuali granelli sabbia e pezzi di conchiglie rimasti all’interno. Il disinfettante brucia sulla carne viva facendo il suo lavoro di pulizia, e lui si sforza di non fare movimenti bruschi. No, aspetta, però c’è qualcosa che non va. Aprendo un po’ di più i lembi della ferita si accorge che sotto, nella carne, c’è qualcosa di bianco e lucido; pensa ad altri pezzi di conchiglia, finiti più in profondità, ma no, non ci assomigliano. Poi, d’un tratto, quando è ancora lì ad osservarle, le cose bianco-lucide si muovono, e lui sente di nuovo la fitta lancinante che l’ha svegliato. La fitta è lunga, questa volta, legata indubbiamente al movimento, movimento che gli mostra cosa sono le cose bianco-lucide. Denti, piccoli ma affilati, due file da quattro che formano una bocca in miniatura, che mordono e scatenano le fitte sentite. Lui si solleva dal letto, urlando, spaventato, e sbilanciato dalla foga del gesto cade sul pavimento.

    [Poi mi sono svegliato, stamattina. Era da un po’ che mi lamentavo del fatto che non ricordavo i sogni. Tiè, servito. Ma va bene così, mi accontento di un piccolo incubo. Ah, il taglio sotto il piede ce l’ho sul serio, però tranqui, niente denti. Anche se, in effetti, è un po’ arrossato…]

  • Una mano

    Sono seduti al tavolino del bar, uno di fronte all’altra, in un tardo pomeriggio che sta diventando sera. Lei parla, con gli occhi che, respiro dopo respiro, diventano via via più lucidi. Lui ascolta, attento a cogliere quello che lei non riesce a dire. Poi lui le offre la mano, e lei la prende, e la stringe, perché sa che lui non vuole nulla in cambio. Lei poggia la testa all’altro braccio, sul tavolo, e per qualche minuto ci sono solo le sue spalle, che vanno su e giù al ritmo dei singhiozzi, in silenzio. Poi tutto si calma.

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