Tag: racconti

  • Più semplice, non più facile

    Ha deciso che è il momento giusto per una sigaretta, e si dirige verso il balcone. Lascia il soggiorno vuoto, il silenzio del film in pausa interrotto ogni tanto dal condizionatore che tenta a fatica di raggiungere la temperatura impostata. La casa è buia, e lui si trova a volerla mantenere tale. Si muove piano nel buio, evitando gli ostacoli che conosce a memoria, ruota il meccanismo di chiusura delle imposte inclinandolo per evitare il cigolio del metallo contro il metallo, poi è fuori. L’aria è calda e umida, immobile, ma sa che c’è un angolo, in fondo, verso destra, che probabilmente è ventilato. E infatti. Si appoggia al parapetto, la mano a coppa per aiutare l’accendino, e si guarda in giro, pensando. Pensando alle altre volte che si è trovato in quella situazione, con altri pesi sullo stomaco, con altri pensieri in testa. “Allora, cosa dici, torni qui?”, gli ha chiesto. “Si, dai, credo sia la cosa più semplice, per tutti”, ha risposto. Più semplice, si, ma quanto facile?

  • A occhi chiusi

    Mi guarda, ora ne sono sicuro. Ha gli occhiali da sole, ma non servono, ho colto lo sguardo. Mi fissa, quasi con preoccupazione, la vedo. Si, in effetti ho il viso corrucciato, l’espressione tirata guardando fuori dal finestrino: ma è il sudore che brucia gli occhi, il male ai piedi per la lunga camminata. Ok, ci sono anche i soliti pensieri, però, oggi, ecco, non solo. Cosa vuole? Perché non smette? Cosa sta pensando di me? Non si accorge che mi da fastidio? Adesso provo a chiudere gli occhi e dormire un po’, così magari mi si rilassano i muscoli del viso, e lei la smette.

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  • Le storie dei bar

    All’inizio c’era una idea, quella di raccogliere materiale sui bar, racconti, foto, video. La balotta, se mi si concede un poco di slang, l’ha pensata e mi è sembrata subito ottima. I bar sono luoghi affascinanti, sono dei piccoli ecosistemi chiusi, e guardarli da fuori è come mettersi a fissare una vasca in un acquario. Poi purtroppo ci si è resi conto che il progetto era troppo complesso, ed è stato accantonato. Ora, approfittando di Stimu:lable, il progetto l’abbiamo rispolverato, e qui trovi i post relativi.

    [UPDATE] il socio mi ricorda che accettiamo contributi :) Da inviare per email a info [chiocciola] stimulable [punto] net

  • Con gli occhi di una bambina

    Domani con il babbo e la mamma andiamo a trovare il nonno che abita in montagna. Vive in casa da solo senza la nonna e lei non l’ho mai conosciuta perché è morta prima che io nascessi e le cose che so me le ha raccontate la mamma, perché la nonna è la sua mamma. La mamma mi ha detto di fare la brava perché il nonno è vecchio e non sta molto bene e ho detto “Ok te lo prometto: faccio la brava”. Mi piace molto andare dal nonno in montagna: a giocare nella legnaia, a cercare gli insetti nell’orto, a inseguire le galline, anche se lui mi sgrida e mi dice che dopo non fanno più le uova. Però quando mi sgrida ride e non credo che dica davvero. Certe volte mi porta con lui a funghi nel bosco, però nei sentieri facili, che io sono solo una bambina. Non vedo l’ora che sia domani.

    Oggi siamo andati dal nonno. Siamo partiti presto perché c’è da fare un po’ di strada per arrivare a casa sua e io ho fatto qualche pisolino in macchina. Quando mi svegliavo sentivo il babbo e la mamma che parlavano piano per non svegliarmi e non capivo cosa dicevano, quindi tornavo a dormire. Però la mamma mi sembrava triste, forse aveva pianto. Poi ad un certo punto il babbo mi ha chiamato, mi ha detto “Dai che siamo arrivati” e allora mi sono girata e ho riconosciuto il muro con i sassi grossi, gli scuroni verdi e la tenda con le striscioline di plastica colorata della porta di entrata. Non ho fatto in tempo a scendere dalla macchina che il nonno è uscito di casa per venirci a salutare. L’ho guardato e non mi sembrava più vecchio del solito. Ci siamo baciati e abbracciati tutti, poi la mamma e il babbo sono andati a salutare anche la zia, nella casa li vicino, io sono rimasta con il nonno perché tanto dopo la zia veniva ad aiutarci a cucinare e si fermava a mangiare. Il nonno mi ha chiesto come stavo, gli ho detto “Bene, sai che sono in prima elementare?” e lui era contento, ha sorriso molto, e intanto gli ho raccontato cosa facciamo con le maestre e i miei amici di scuola. Lui mi ascoltava attento e ad un certo punto gli sono diventati gli occhi lucidi allora gli ho chiesto “Nonno perché piangi?” e lui mi ha detto che pensava a quando era po’ più di un ragazzino, al suo fratellino che doveva cominciare ad andare a scuola. Io non lo sapevo che aveva un fratello, sono rimasta a bocca aperta e gli ho chiesto dov’era, e allora lui si è fermato ci siamo seduti su un tronco di fianco al giardino e mi ha detto “Non c’è più da tanto tempo. Adesso che sei un po’ più grande ti racconto una storia”. E così ha cominciato a parlarmi di quando era un ragazzo, di suo fratello, dei giochi che facevano, del suo babbo e della sua mamma e sono stati dei bei racconti, non capivo tutte le cose che diceva ma mi sono sembrati belli. Poi è diventato triste, molto più della della mamma in macchina e infatti piangeva. Allora stavo per chiedergli ancora cosa aveva fatto ma deve averlo capito perché con una mano a fatto il segno di stare zitta e poi ha ricominciato a raccontare. Mi ha detto che c’era la guerra e i Tedeschi e io gli ho chiesto chi erano, perché era un nome che non avevo mai sentito e mi ha risposto che erano persone cattive che arrivavano con i fucili e ammazzavano tutti e poi bruciavano le case e che sono stati loro a uccidere il suo fratellino e la sua mamma. Allora gli ho chiesto come mai lui era ancora vivo e mi ha detto che lui non c’era a casa quel giorno, era nei boschi assieme agli altri Partigiani e stavo per interromperlo perché non conoscevo bene nemmeno quella parola, cioè l’avevo già sentita ma non mi ricordavo cosa voleva dire, ma il nonno se ne deve essere accorto perché me l’ha spiegato subito. Mi ha detto che si chiamavano così quelle persone che sceglievano di combattere contro i tedeschi perché le cattiverie che stavano facendo erano insopportabili. Allora gli ho chiesto se li avevano ammazzati anche loro i tedeschi e per un attimo è diventato più serio e si è bloccato, poi mi ha detto che si, anche lui aveva ammazzato dei tedeschi – gli volevo dire che quindi era stato cattivo anche lui, però ho pensato che forse ci rimaneva male e allora ho lasciato stare – lui ha continuato a parlare ma era come se non mi vedesse o non ci fossi e ho capito poco, poi è tornato a guardarmi e mi ha detto che dopo pranzo mi portava a fare un giro.
    Il pranzo neanche me lo ricordo, pensavo solo al giretto dopo.
    Siamo partiti verso il bosco noi due e la mamma, piano perché il nonno era stanco. Per un po’ il sentiero lo riconoscevo, era quello facile che facevamo di solito, poi però abbiamo girato dietro ad una roccia molto grande e da li in poi era tutto nuovo. Secondo me abbiamo camminato molto perché sentivo male ai piedi, poi ad un certo punto il nonno si è fermato e mi ha detto di guardare là verso quegli alberi. “Vedi?” No, io non vedevo niente a parte le piante e l’erba, e allora mi ha preso per mano e mi ha fatto vedere cosa vedeva lui. C’erano delle specie di buchi per terra, alcuni lunghi e altri più grossi, e qualcuno anche nelle rocce che stavano sopra, come quelle caverne che si vedono nei film, solo più piccole. Il nonno mi ha spiegato che per molti mesi lui e gli altri partigiani avevano vissuto nascosti in quel posto, nella terra, nei buchi, al freddo, per combattere i tedeschi. “Ma come facevate a mangiare?” “C’erano delle brave persone che con il buio facevano avanti e indietro dal paese per portarci il cibo” “Ma non avevano paura a girare nel bosco di notte?” “No, erano coraggiose e ci volevano aiutare, quindi gli passava la paura” “Ah”
    Ogni tanto mi giravo indietro a guardare la mamma e vedevo che era emozionata perché aveva gli occhi molto lucidi. Poi il giretto è finito, perché era tardi e dovevamo tornare a casa in città. Quando siamo arrivati alla casa del nonno ero contenta perché ho raccontato al babbo le cose che avevo imparato e lui ha sorriso. Poi il nonno mi ha dato un regalo, una scatola pesante piena di fogli vecchi scritti in piccolo, in corsivo, non ho capito cosa perché a scuola abbiamo fatto solo lo stampatello e il corsivo ancora no. La scatola l’ha presa la mamma anche se il regalo era il mio e il nonno mi ha detto che magari adesso non capivo ma che quando diventavo più grande dovevo leggere quei fogli così mi ricordavo di lui, e gli ho detto “Grazie, che bello”. Dopo ci siamo salutati e siamo ripartiti, il viaggio verso casa non me lo ricordo perché mi sono addormentata subito.

    Oggi dopo la scuola con la mamma abbiamo sistemato i fogli del nonno in una scatola più grande con scritto sopra il mio nome, e non vedo l’ora di imparare il corsivo per poterli leggere. Grazie nonno, ti voglio bene.

    [Questo è il mio piccolo contributo alle Schegge di Liberazione 2011. Lo trovi negli outtakes, assieme ad altri contributi, in PDF o EPUB, qui. Perché gli outtakes, dici? Perché di contributi ne sono arrivati un fottìo, e non c’era spazio per tutti nelle Schegge cartacee. Tu che “Ah l’odore della carta. Ah, il peso del libro nel tascapane. Ah, vuoi mettere?”, sarai ben contento?]

  • “Ma ci sarà sicuramente il sole, almeno quello dell’avvenire.”

    25 Aprile a Fossoli

    Manicardi e la combriccola tutta l’hanno fatto di nuovo.

    Il 25 aprile esce Schegge di Liberazione, quello di carta, e pure in ebook. Il 25 aprile siamo all’ex Campo di Concentramento di Fossoli (una frazione di Carpi), dove in vari punti del campo dalle 14:30 alle 15:30 leggiamo i pezzi dal nuovo Schegge e da quello vecchio. Ad accompagnarci ci saranno quel fricchettone di simonerossi all’ukulele e un contrabbassista nuovo in temporanea sostituzione del nostro Bicio, che è andato a lavorare in Germania, pensa te.

    Al solito, se volete leggere il vostro pezzo o un pezzo altrui, saremo lì ad accogliervi con le braccia spalancate. Mandate pure una missiva elettrificata a marcomncrd chiocciola gmail punto com, contattateci nei socialcosi o presentatevi direttamente al Campo di Fossoli un po’ prima delle 14:30.

    Ma non finisce mica lì, perché dopo di noi, sempre al Campo, dalle 15:30 Carlo Lucarelli parlerà di ”Resistere narrando” nella baracca recuperata, e dopo di lui, nella stessa baracca, alle 16:00 l’ADM Ensable terrà un “concerto per la Liberazione”. Chiude la rassegna Paolo Nori, che alle 17:30, nel piazzale dell’appello, leggerà “Noi e i governi” sulle musiche della Filarmonica della Città di Carpi.

    E ancora, alle 19:30 ci spostiamo marciando fino al Mattatoio Culture Club, dove tutto cominciò, l’anno scorso, e rifacciamo Schegge di Liberazione, forse con Lucarelli e Nori.

    Nota: in caso di maltempo ci spostiamo con Schegge di Liberazione e Carlo Lucarelli al Museo del Deportato in centro a Carpi, l’ADM Ensable finisce nella Sala delle Vedute del Palazzo dei Pio e Paolo Nori al Cinema Teatro Eden. La parte al Mattatoio rimane invariata, ché il Mattatoio ha ancora un tetto.
    Ma ci sarà sicuramente il sole, almeno quello dell’avvenire.

    Come si dice, Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, Pasquetta però con noi (/me scappa a gambe levate)

  • La parte misteriosa

    Parcheggio la macchina davanti allo spiazzo che in estate viene occupato dal luna park. Questo tratto di lungomare è quasi disabitato d’inverno, soprattutto di sera, soprattutto tra settimana; infatti ci sono solo io. Mi incammino con calma lungo la strada chiusa che porta al mare, proteggendomi la testa dal vento con il cappuccio della felpa, e man mano che avanzo sento sempre più chiaramente il rumore ritmico della risacca. Proseguo fino a farmi quasi lambire gli anfibi dalle onde, lasciandomi alle spalle il cono di luce dell’ultimo lampione della stradina. Mi giro, la schiena rivolta al mare, verso quel tratto di spiaggia dove ero solito andare da bambino. Chiudo gli occhi e vedo, qui sulla destra, gli ombrelloni disposti a caso nella spiaggia libera, e più in là, a sinistra, quelli ordinati ed allineati dello stabilimento balneare. In mezzo, una specie di terra di nessuno senza ombrelloni ma piena di teli da bagno, e in fondo, vicino al viale, il campo da beach volley. Ci ho passato parecchi anni qui, ci sono praticamente cresciuto, giochi, amicizie, amori, un sacco di cose. Mi giro nuovamente e c’è il mare, che ora mi appare come una massa scura nel buio della sera, ma che rivedo azzurro e piatto. Ripenso alle ore trascorse con mio nonno pescando paganelli sugli scogli, ripenso a quello squalo di gomma che ho perso in acqua e chissà dov’è finito, ripenso alle fughe in moscone per lasciarmi alle spalle la calca dei turisti di agosto. Le prime nuotate al largo, con Enzo, mi sentivo un puntino galleggiante sopra la distesa blu, e mio dio chissà cosa mi starà passando sotto in questo momento. “Dai che non succede niente, cosa vuoi che sia, altre due bracciate e facciamo il giro degli scogli!”, e io mi fidavo quasi sempre, quasi perché quella volta non si è accorto delle meduse, e cazzo come pizzicavano. E quindi non glielo dicevo ma continuavo ad immaginarmi una sagoma scura che intravvedevo passarmi sotto, e in quei momenti le bracciate erano più veloci. Un mare affascinante e misterioso, agli occhi di un bambino. E mi ritrovo a riaprirli quegli occhi ora cresciuti, e c’è di nuovo la massa scura in movimento, una buona amica che ha però perso la sua parte misteriosa. Mi sento un po’ infreddolito e decido che è ora di rientrare, però vengo distratto da una serie di sassi piatti e levigati, finiti li chissà come, perfetti per essere lanciati, ed è un peccato non approfittarne. Due, tre, due, poi quattro salti. Osservo la traiettoria dell’ultimo, che ne fa cinque di salti prima di scomparire, e soddisfatto mi giro per andare, quando mi sembra di sentire un suono, una serie di “sciaff”, sovrapporsi a quello della risacca. Ruoto su me stesso per controllare, e qualcosa mi colpisce una scarpa, oppure colpisco qualcosa con la scarpa. Abbasso lo sguardo e vedo un sasso tondo, piatto, liscio, vicino al piede destro. Sorrido, e andando verso la macchina penso che forse, in fin dei conti, la parte misteriosa della massa scura non è sparita del tutto.

  • Ritmo ipnotizzante

    Banjo or freakout - Locomitiv [BO]

    Il cantante lascia il microfono e lo strumento. Per un attimo sparisce in basso, nelle ombre create dalle luci forti sparate verso il telone bianco, poi si rialza, il busto libero dal peso della chitarra, le mani occupate da un paio di bacchette. Si ferma, guarda gli altri due, alle prese con un ritmo trascinante fatto di rullate impetuose e ritmiche distorte, poi si avvicina al tom-tom libero davanti alla batteria.
    E comincia.
    Batte su quel tom-tom come se dovesse vendicarsi di un torto enorme, batte con una cadenza molto veloce che sembra quasi superare quella creata dagli altri due, batte e segue il movimento delle braccia con tutto il busto come in preda alle convulsioni. Noi lo guardiamo, li guardiamo, siamo in piedi davanti al palco tra altri corpi che ondeggiano, con i bassi che ci massaggiano l’addome. Poi mi accorgo di avere smesso di guardarli, mi accorgo di essere inchiodato a quelle due bacchette che vanno su e giù talmente in fretta da essere una striscia unica di bianco, le braccia che non si capisce quale delle due stia battendo. Riescono a mantenere quel ritmo forsennato per diverso tempo, ci tengono ben incollati, poi all’improvviso stop, silenzio, mani sulle corde e sui piatti per terminare ogni suono. Ecco, in quel momento mi sono sentito cadere.

  • Quer pasticciaccio bello

    Quer pasticciaccio bello nasce come costola [sinistra] del My own private Milano. Dieci fotografi romani, dieci foto della periferia di Roma, dieci scribi di fuori Roma. Per parlare, raccontare o anche solo immaginare la parte più grande e, forse, più complessa di questa città.

    Perché se vi hanno detto che Roma è solo il Colosseo e i sampietrini, beh, vi hanno mentito.

    Frattaglia & co, cose belle dall’Internet. Lo scarichi qui.

  • La libreria

    La libreria è un brulichìo di gente, piena come solo a Natale riesce ad esserlo. Nonostante non sia la mia solita libreria, riesco a distinguere facilmente i diversi tipi di clienti. C’è l’abitudinario, che si muove scattante tra gli scaffali accelerando il passo per raggiungere le sezioni preferite e ignorando il resto. C’è quello con il titolo da regalare bello chiaro in testa, che ignora tutti gli scaffali e si dirige direttamente alla cassa per chiedere disponibilità al’addetta. C’è quello, spaventato e quasi rassegnato, che non sa che titolo regalare e gira per tutti gli scaffali con lo sguardo perso nel vuoto, e alla fine va alla cassa chiedendo un libro qualsiasi, oppure, se ha un po’ più di amor proprio, chiedendo quello più venduto. Io lo so benissimo cosa voglio, però prima passeggio verso le sezioni che non guardo di solito, incuriosito dai titoli e dalle copertine, anche perché la fila alla cassa è chilometrica. Come dicevo, non è la mia libreria preferita, ma una delle quattro che frequento, in zona. Per Natale le alterno, le tre non preferite, a causa di quel mio problema, che poi per me non è un problema ma a vedere le facce della gente che mi sta vicino sembra di si. Guardo di sfuggita la cassa, mi accorgo che la fila è quasi finita e decido che vado.

    “Buongiorno, desidera un pacco regalo?”
    “Si, grazie”

    Le mani della cassiera corrono veloci sul foglio argento lucido, mani che negli ultimi giorni hanno ripetuto gli stessi gesti molte volte.

    “Ci vuole un fiocco?”
    “Si, grazie, blu se ce lo ha”
    “Certamente”

    Una pressione forte sull’adesivo del fiocco, e il pacco è pronto.

    “Ecco il suo pacco, tenga lo scontrino, e ricordi che sostituiamo i regali entro il 31”

    Ci siamo. Ormai ci ho fatto l’abitudine, e non ho più timore di rispondere e di vedere gli certi sguardi.

    “Non si preoccupi, il regalo è per me”

    Come al solito chi mi è vicino si blocca, sento gli occhi che mi fissano, sento i pensieri della gente che cerca di capire, ma non ci do peso, ché tanto ormai ci ho fatto il callo, e per i prossimi Natali sono a posto, ho le altre due librerie nelle quali andare.

    “Grazie, arrivederci e buone feste”

    [postilla: prima che mia mamma chiami i servizi sociali, la storia non è autobiografica. Ma è comunque vera.]