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  • Piove

    È una pioggia leggera ma insistente, quella che cade ora. Meno potente dell’acquazzone di oggi pomeriggio, ma comunque efficace, anche stanotte riuscirò a dormire. Un lampo, adesso, poi il tuono, basso, che lo senti nella pancia e pure più giù. Potrei contare i secondi che intercorrono ma mi pesa il culo, non mi va. Un inizio di weekend segnato dall’acqua. La lavata di oggi pomeriggio, forte e rinvigorente, nonostante abbia richiesto un completo cambio di abito. Poi una telefonata, pari ad temporale estivo in quanto rinfrescante ed inaspettata, che ha fatto scivolare via alcuni brutti pensieri. Ed ora il ticchettio contro gli scuri, e scolare di acqua nei tombini, un richiamo irresistibile a chiudere gli occhi, le dita che cercano di muoversi veloci sulla tastiera dello smartphone per fissare quelle due cose passate per la testa. Pubblica. Schermo spento. Tic tic tic tic.

  • Il numero perfetto

    Lo senti già alle 17, quando la giornata ti ha avuto, non c’è bisogno di arrivare in fondo.
    Il tragitto verso casa è più lungo del solito, camion apecar furgoncino, più di uno e in ordine sparso, coi nervi cominciano a scricchiolare vistosamente.
    Incrocio il mio sguardo nello specchietto retrovisore, occhi torvi e scavati, e mi dico che sì, oggi mi hanno avuto.
    A casa mi accolgono i piatti nel lavabo, i panni da stendere, gli altri da stirare.
    Bentornato.
    Il primo è per sganciare il volano che ho in testa, rovente per l’attrito senza soluzione di continuità.
    Salgo. Mi spoglio.
    La cornetta della doccia penzola a testa in giù, una vite da stringere mi auguro.
    Scendo, prendo un pezzo di nastro americano, e la cornetta è a posto.
    La doccia fa il suo lavoro, e ne esco ripulito dentro e fuori.
    Ceno, o forse no.
    In uno slancio di vigore mi libero dei piatti sporchi, dandomi ad alta voce del coglione per non averli lavati subito, sapendo comunque come andrà a finire. Intanto però il lavabo ringrazia.
    Mi siedo al tavolo, temporeggiando con lo smartphone in attesa che la moka venga su.
    E-mail, Facebook, i film in prima serata, Instagram.
    Caffè.
    Il secondo è per me, perché me lo sono meritato, diobò.
    Alla TV non c’è nulla di interessante, così pesco dall’archivio e metto su un film. Cabal, stasera.
    Bevo molta acqua, per fare il bravo.
    Il film finisce, dovrei andare di sopra ma ancora non ho abbastanza sonno. La scelta ricade sul canale 56, Focus.
    Il terzo è per quel cucchiaio che ogni tanto si mette a scavare dietro l’occhio destro, e cerco di prenderlo in tempo, prima che diventi un mestolo.
    Nel frattempo ho imparato cose interessanti sulla storia dell’acciaio e sull’impatto che ha avuto sulla società, ho scoperto che gli UFO, se esistessero, sarebbero un mistero.
    Il terzo è quello della buonanotte, senza tante storie.
    Mi trascino di sopra, tiro su il lenzuolo, buio, in sottofondo una webradio di jazz.

  • Il rumore delle cose che hanno preso il via e tu non puoi farci nulla

    Sarà il vento, sarà l’aumento della fotofobia, fatto sta che ora come ora mi ritrovo sempre più spesso con il cappuccio sulla testa. Il cappuccio diventa anche una sorta di barriera contro gli stimoli esterni, uno scudo che mi permette di stare concentrato su poche cose, nei momenti in cui ne ho bisogno. E capita che qualcosa interrompa questo stato di concentrazione. Lo sento arrivare da sinistra, un rumore che potrebbe avere molte forme ma che ancora non ne ha nessuna, al di fuori del campo visivo limitato dal paraocchi. Poi ecco, un gruppo di foglie spinte dal vento mi passa davanti strisciando e saltellando sull’asfalto, facendo un rumore che a tratti è pioggia battente, oppure legna crepitante, oppure altro, il limite è l’immaginazione. E poi sparisce, alla destra del cappuccio, e sparisce anche il suono.
    Ecco, per me è questo il suono delle cose che si mettono in moto e tu non puoi farci nulla: un suono indefinito, senza una connotazione positiva o negativa, quella eventualmente gliela associo io, in funzione del mio stato d’animo.
    E bon, penso, tra poco arriva l’inverno, le cose vanno avanti, c’mon, vediamo come va.

  • Poi dice la saggezza popolare

    Dunque l’altra sera ero lì, le spalle ancora coperte da uno dei miei comfort movie, in attesa che il cervello decidesse di averne avuto a sufficienza della giornata. Ma niente da fare, mi ritrovavo ancora a saltare da un pensiero all’altro senza apparente soluzione di continuità, e allora ho deciso di metter mano e matita al giornaletto delle parole crociate. Il gioco si chiamava “Casellario”, date 0) una serie di sillabe ordinate alfabeticamente 1) una serie di definizioni, bisognava riempire lo schema formando le parole definite dalle suddette definizioni, e nelle caselle con il doppio bordo sarebbe apparso un proverbio. Così ho cominciato a scrivere e depennare, meticolosamente ma senza fretta, lasciando correre i pensieri, riempiendo i vuoti. E ad un certo punto mi son sentito pronto ad azzardare una soluzione, senza aver terminato tutte le definizioni. “Le parole non hanno limiti”. Interessante, e verosimile, ho pensato. Ma non ero proprio soddisfatto, così ho deciso di finire definizioni e sillabe. “Le parole non fanno lividi”.
    Rileggo.
    “Le parole non fanno lividi”.
    Mi è montato un gran nervoso.
    Ma che cazzata.
    Li fanno, i lividi. E rompono le ossa, squarciano le carni, gelano il sangue nelle vene, oppure lo fanno ribollire.
    Ma vai a cagare, vai.

  • Solo fumo

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    A volte mi piacerebbe prendere tutto il tabacco dalla busta, mi piacerebbe metterlo in un piatto fondo e dargli fuoco, al tabacco, tutto in una volta. Poi mi piacerebbe prendere il piatto e andare sotto una finestra, una di quelle che danno sul fiume; mi piacerebbe andarci verso sera, quando i raggi del sole basso entrano tra i listelli degli scuri. Mi piacerebbe vedere quei raggi rendere quasi palpabili le volute di fumo, e poi lacerarle come lame affilate.

  • Del non avere orologi da aggiornare a mano

    Non ho un orologio da polso.
    Nemmeno uno da parete.
    O una radiosveglia.
    In quello dell’auto si è fulminata la retroilluminazione, quindi è come se non ci fosse.
    Uso l’orologio del cellulare oppure quello del PC, ed entrambi si aggiornano da soli.
    Ne segue che i vari cambi di orario a volte mi passano di mente.
    Poi accade che un lunedì mattina mi sveglio completamente rincoglionito, in uno stato di simil-fattanza, senza riuscire a rimediarmi. Chissà cosa sarà.

  • Magna tranquillo

    C’è questo ricordo, questa immagine di mio nonno che spesso mi torna in mente.
    A tavola, pranzo o cena che fosse, spesso accadeva che lui facesse sparire un panino, per poi mangiarlo in seguito, magari ore più tardi, di nascosto.
    Un evidente retaggio del periodo in cui c’era la guerra, il cibo scarseggiava, ed ogni occasione per metterne un po’ da parte era buona.
    Avendo presente quel ricordo ho pensato di mandarmi un messaggio: Massimilià, la guerra è finita, smettila con l’ansia, magna tranquillo.

  • Adesso ti racconto un po’ di cose

    Ciao, è da un po’ che non ci sentiamo, e niente, m’è venuta voglia di raccontarti cosa è successo nel frattempo. In quel che segue troverai un po’ di tutto, cose personali, cose più tecniche, cose legate alla fotografia e alla scrittura. Diverse cose, ché le cose sono eterogenee, ed inaspettatamente – e fortunatamente, aggiungo – succedono.
    Te le separo con una riga vuota, così si capiscono meglio, ok?

    Partiamo.

    Considerato che nella TV ci guardo più che altro i film, e considerato che c’era un periodo di prova gratuito fino a fine anno, ho deciso di testare il servizio di Infinity TV. Infinity TV è il servizio di streaming realizzato da Mediaset e, stando all’help, “[…] ti consente di vedere 5000 FILM e programmi TV come vuoi e quando vuoi.”; ora, non mi sono messo lì a contarli uno per uno, ma l’impressione è che in realtà siano di meno. Alcuni titoli sono disponibili anche in alta qualità, mentre altri no; l’alta qualità, anche se disponibile, potrebbe comunque non essere visionabile, se la banda disponibile nella nostra connessione ad Internet è giudicata insufficiente dal sistema. Durante l’uso del servizio non ho rilevato problemi particolarmente significativi, e i pochi intoppi riscontrati sono probabilmente imputabili alla gioventù della piattaforma. O, quanto meno, nella fase iniziale. Successivamente – leggi “dopo il termine della prova gratuita” – è emerso qualche problema, tipo il non riuscire a vedere un film che avevo visionato a metà, oppure inizialmente non fruibile a causa della larghezza di banda. Sinceramente non ho ancora deciso se rinnovare l’abbonamento oppure no.

    Mi son fatto un bel regalone di Natale, ho comprato la Nikon D7100 in kit con un 18-105 VR. L’acquisto è derivato da due considerazioni: 0) la D40, risalente a marzo 2009, cominciava a risentire un po’ dell’età, e poi c’era quella maledetta fila di hot pixel che appariva in tutto il suo splendore – blu – non appena salivo con gli ISO, e 1) volevo fare un salto di qualità, e ho trovato questa via di mezzo tra la D40 e le full frame. Sono felicissimo di questo acquisto, me la sento bene tra le mani e davanti all’occhio, e sento che posso tirarci fuori delle belle cose. Qualche considerazione veloce. Le foto pesano molto più di prima – causa i milioni di pixel e lo scatto in RAW – e ho dovuto comprare una SD nuova: parrà una cazzata, ma proprio non ci avevo pensato. Il pulsante di scatto è sensibilissimo, e le prime tre foto sono state in realtà nove o dieci, tipo una raffica. Il 18-105 VR invece mi ha deluso, per quanto riguarda il materiale costruttivo. Voglio dire, anche se non è un obiettivo professionale costa comunque un botto, cara Nikon l’aggancio al corpo macchina potevi farlo in metallo come nel 35mm fisso, così magari le due-linguette-su-tre non si rompevano, eh.

    Poi dovrei dire di aver avuto ragione, ma non sarebbe corretto. Tecnicamente non c’è una ragione, perché la sua presenza sottenderebbe l’esistenza di un torto, e non è così. Semplicemente, continuo a fidarmi ciecamente delle mie sensazioni. Punto.

    Gallizio ne ha tirata fuori un’altra dal suo vulcanico cappello, e la trovi nel GallizioLAB: “Se sei qui è perché vuoi scrivere: non scrivere per pubblicare e neanche per te stesso. Noi diciamo che vuoi i-scrivere, se non capisci prova: devi solo registrarti. Qui sotto trovi una traccia, se non ti piace cercane un’altra; non è un incipit, puoi anche ignorarla, serve solo come calcio d’inizio”. Personalmente l’accoppiata “20 minuti di tempo” + “traccia a sorpresa” ha un che di terapeutico, non so in base a quale meccanismo ma mi permette di svuotare completamente la testa. Una cosa l’ho scritta, e già so che lo rifarò di nuovo. I-Scriviti anche tu!.

    E ancora sulle foto. Ne voglio stampare una, su forex così non ho bisogno della cornice, e voglio appenderla nel muro alle spalle del divano. Il muro è vuoto, e quindi la stampo in grande, tipo un metro per un metro e mezzo, se non ho fatto male i calcoli. Poi voglio anche fare un photobook con le mie foto più belle, da tenere e – perché no – da far vedere a qualcuno, se capita l’occasione. Le foto avranno un ruolo importante, in questo 2014, lo sento. Ché son guarito, ed è ora di darci sotto.

  • Un sacchetto di pietre colorate

    Mi sono incamminato lungo il sentiero molto tempo fa.
    Scarponcini, uno zainetto, la felpa con il cappuccio, per proteggere la testa quando il vento si fa troppo teso.
    E un sacchetto di pietre, colorate, scintillanti.
    Così sono partito, un passo dopo l’altro, avanti.
    E ogni tanto, quando sentivo che era il momento giusto, lasciavo cadere una pietra.
    Ne ascoltavo il tonfo, e proseguivo.

    “Tieni, queste sono tue”
    “Le metto qui, nella tasca della felpa, così non si mischiano”
    “Vado, ci vediamo, torno quando ne trovo delle altre”
    “Va bene, la strada sai come trovarla”

    Una scia luccicante non per riuscire a tornare indietro, ma per arrivare a me.