Tag: life

  • Credo

    Credo che alla fine dei giochi ci sia un profondo, fortissimo desiderio di estate. Piedi nudi, bagni a marina dopo l’ufficio, telefono muto che sticazzi se suona, granelli di sabbia come segnalibro, caldo sulla pelle, gocce che si asciugano addosso, sale nei capelli, appuntamenti sul telo da bagno, baci fino a notte fonda. Perché alla fine dei giochi, questo inverno, vero o metaforico esso sia, ha profondamente rotto il cazzo.

  • Keep on moving [*]

    [*]

    Il movimento è la metafora che io e la Doc abbiamo scelto, grosso modo l’anno scorso, per definire il mio rapporto con le cose che succedono. C’è questa strada, me la immagino che taglia un paesaggio sconfinato, come possono esserlo certi scorci scandinavi. Io mi ci muovo dentro, a volte deviando lungo un sentiero interessante, a volte inciampando su pietre e rami, altre correndo lungo discese ripide.
    Adesso davanti c’è una salita.
    Ma non mi spaventa, anzi, la vedo come una bella sfida.
    Sono pronto.
    Il fisico. Durante l’ultimo periodo ho seguito una preparazione atletica molto particolare, che mi ha permesso di restare immobile per molto tempo e scattare non appena le condizioni sono state favorevoli; muscoli leggeri ma resistenti, niente zavorra inutile da portarmi dietro.
    L’attrezzatura. Ho uno zaino comodo e capiente, di quelli che sì, li senti, ma non gravano sulla schiena. Dentro ci sono un sacco di pietre da metterci sopra. Ci sono quelle parole che non si possono dire, ben custodite nel cellophane, così non perdono la loro fragranza originale. Ci sono gli anni passati sui muri di Tetris, che se tutto va bene mi serviranno ad arredare 7mq o poco più. Poi ci sono degli spazi vuoti, ché alcune cose le ho spostate sulla pelle, e così se lungo la salita trovo qualcosa di interessante posso portarlo con me senza impedimenti.
    La mente. Parto con la consapevolezza che non sarà l’ultima salita della mia vita. Certo, sarebbe stato senza dubbio più piacevole trovarci un bel prato che si perde a vista d’occhio, in cima a questa salita, e fermarsi lì; certo, la salita, a farla in compagnia, sarebbe stata meno pesante. Ma nulla vieta di trovare un’altra salita da fare assieme, o un prato più bello e spazioso nel quale fermarci. Ora, dunque, mi godrò l’adrenalina della sfida, e basta.
    Quindi, dita incrociate ché, sistemati gli ultimi dettagli, magari tra qualche giorno parto.
    Chi mi ama stima, mi segua.

  • Un cordiale fanculo ad un altro Natale [*]

    [*]

    “Ciao capo, compri qualcosa?”
    “Ciao, no, mi dispiace, niente”
    “Dai, compra qualcosa, aiutami”
    “No, davvero, non compro niente”
    “Ho freddo”

    La serata è fredda, scende una pioggerella gelata che ancora non è diventata neve, ma si sente dall’odore che lo farà presto.

    “Senti, ti piace la cioccolata?”
    “Sì! Lo sai che il mio paese è uno di quelli che ne produce di più?”
    “Vieni dal Ghana?”
    “No, sono ivoriano”
    “Ah, ok. Vieni, andiamo in quel bar, io ho voglia di caffè, se ti va ti offro una cioccolata calda”
    “Ok, va bene”

    Il bar è fighetto, gli avventori sono fighetti, ma nessuno dei due ci fa caso e ci avviciniamo al bancone. Il barista, fighetto, si accorge di me, poi di lui.

    “Ti avevo detto di non tornare a disturbare i clienti”
    “Vorremmo prendere qualcosa da bere, non disturba nessuno. Se è un problema ci leviamo dal cazzo e cerchiamo un bar migliore”
    “No, mi scusi, non avevo capito, credevo ch”
    “Un caffè doppio e una cioccolata calda, che fa freddo. Grazie”
    “Ok, preparo subito, mi scusi ancora”

    L’atmosfera si è appesantita. Io ho la testa in giro e fisso il bordo del bancone, lui non sa cosa dire.

    “Perché l’hai fatto? Nemmeno mi conosci”
    “Perché no? Tu avevi freddo, io voglia di un caffè, stiamo risolvendo”
    “Sei strano. Sorridi, sembri felice, ma hai gli occhi tristi”
    “Lo so, è un momento un po’ così”

    Abbiamo finito le consumazioni, e anche le cose da dire.

    “Grazie, di cuore, mi sono scaldato un po’. Ora vado, cerco di vendere qualcos’altro, poi rientro. Ti auguro un buon Natale, sento che vi dite così in questo periodo”
    “Tu ci credi al Natale?”
    “No, non sono cristiano”
    “Nemmeno io ci credo, anzi mi indispone. Dimmi qualcosa del tuo paese, qualcosa in cui credi davvero”
    “Va bene. È una cosa che mi diceva mia nonna, ci ho sempre creduto, e mi ha aiutato. Mi diceva che il cuore tiene quello che l’occhio vede”
    “Grazie, è una cosa bella, sulla quale riflettere. Ti saluto, vado anche io, ciao”
    “Ciao”

  • Alcune cose

    [Ciao Diletta, ti copEHM prendo spunto dal tuo post :)]

    Per capire quante cose si apprendono, quanto vadano in contraddizione con altre già assimilate, e quanto lo stupore sia prassi, più che eccezione.

    È una riflessione interessante, soprattutto la parte relativa alle cose che vanno in contraddizione. Ecco le cosa è saltato fuori ripensando ai giorni passati.

    • 0] Le mie foto, sono molto soddisfatto delle mie foto. E sono molto contento che piacciano anche ad altri. Potrebbe sembrare una banalità, e invece credo di no. Quelle che pubblico (che escano da Instagram o dalla reflex è indifferente, sono solo due mezzi) corrispondono a quello che intendevo fissare con lo scatto. Probabilmente ne pubblico meno rispetto a quanto facevo in passato, direi che l’occhio critico s’è affinato, è diventato più esigente. Il sogno nel cassetto? Fare un lavoro inerente alla fotografia.
    • 1] Il senso di stare in apnea, che ha preso il posto della mancanza (o forse era così anche prima, solo che gli davo il nome sbagliato). L’apnea è peggio della mancanza, secondo me, perché se stai troppo senza aria poi muori. Ho adattato cuore e testa al miglior ritmo che questo momento può permettere, ma è un equilibrio non troppo stabile, e mi sono reso conto che ogni minima interruzione del suddetto ritmo, né più né meno, mi fa sbroccare. Soprattutto quando le interruzioni sono causate da fattori esterni, contro i quali non si può fare nulla. E dunque il leitmotiv è: controllare gli sbrocchi, stringere i denti, godersi le bolle d’aria che interrompono l’apnea, aspettare i momenti giusti.
  • My love is winter [*]

    Waves

    [*]

    E alla fine il freddo è arrivato anche a me. Mi ha trovato un lunedì mattina di fine ottobre, mostrandosi come vento leggero ma pungente, trapassando la t-shirt troppo sottile, scavalcando i calzini corti e risalendo dentro i jeans. Lo sento correre sull’acqua, lo vedo increspare leggermente quel blu scuro, poche decine di centimetri al di sotto dei miei piedi. Tiro la zip del giubbotto fin sotto al collo, poi, le mani infilate nelle tasche, mi giro e mi faccio spingere contro una nuova settimana. Benvenuto, freddo.

  • Ultimo

    Ultimo post nel feed reader, lo salvo per domani ché è lungo.
    Ultime foto degli amici, belle.
    Ultimo sguardo alle e-mail, “Segna come già letto”.
    Ultima sigaretta della giornata, spenta.
    Ultime pagine del libro, ci provo ma non garantisco.
    Ultime energie della giornata, andate.
    “Pubblica”, tap.

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  • Il palo sul molo

    Onda

    Se passi sul molo di Cesenatico, nella parte di levante,e oltrepassi il Gambero Rosso e la passerella di legno che porta sulla sabbia, trovi un palo di metallo, abbastanza grosso, ancorato ad un basamento di cemento in mezzo agli scogli. Sul palo c’è un buco di ruggine, tre/quattro centimetri di diametro, e quando c’è il vento forte, che ingrossa le onde, le gonfia fino a farle uscire sulla banchina [occhio che poi ti bagni, eh, true story], quando c’è quel vento lì, dicevo, beh, passando vicino al buco si sente il rumore del mare. [facepalm].

  • La percezione del tempo

    TicTacTicTacTicTacTicTac
    Tic Tac Tic Tac Tic Tac Tic Tac
    Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac.
    Tic
    Tac
    Tic
    Tac
    Tic
    Tac

    Tic

    Tac

    Tic

    Tac.

    Oltrepassata la porta scorrevole ho percepito chiaramente il dilatarsi del tempo. È tutto un duplicarsi e triplicarsi di secondi e minuti, ti trovi ad attraversare le ore come fossero di melassa, rallentato e con un fastidio appiccicoso addosso. Proprio non so come abbiamo fatto, l’altra volta.

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  • La veridicità degli adagi popolari

    C’era questo proverbio, o meglio, questa specie di filastrocca, legata allo sbadigliare, che mi raccontava mia nonna quando ero piccolo. Recitava più o meno così (scritto a spanello):

    E sbadac’ e n’a ingän,
    o cl’è said o sànn o fam
    o cs’è fort inamurè
    o ujè quelcosa ed mel pinsè

    Tradotto:

    Lo sbadiglio non inganna
    o è sete o sonno o fame
    o si è molto innamorati
    o c’è qualche brutto pensiero

    Ieri mattina abbiamo accompagnato l’oramai-ottenne alle visite preliminari per l’intervento di rimozione delle adenoidi e, giuro, non ho mai visto così tanti sbadigli al minuto. Poi fortunatamente il nervoso le è passato.